Per illustrare un quadro relativo alla vita della città nel passato quanto più vicino alla realtà dobbiamo fare ricorso a vari tipi di fonti, tra cui le indagini archeologiche, capaci di dare molte informazioni circa l’arte dell’abitare a Pisa. Tra i reperti che tali ricerche riportano in luce abbondano i manufatti ceramici, gran parte dei quali testimonia gli apporti da aree islamiche e bizantine che raggiunsero la città tra la fine del X e gli inizi del XIII secolo.
In questi anni, Pisa, con il suo complesso sistema portuale riveste una posizione di primaria importanza nei rapporti tra il Mediterraneo occidentale ed orientale e tali reperti lo confermano in modo significativo.
La comparsa di queste ceramiche “esotiche” si registra a Pisa all’improvviso. Si tratta di recipienti con coperture vetrose e ricche di colori e ornamenti che contrastano nettamente con la produzione locale del momento, caratterizzata da manufatti in terracotta non rivestita e con forme chiuse.
Questi recipienti orientali venivano impiegati sia in ambito domestico che per ornare le superfici esterne degli edifici, prendendo il nome di “bacini”.
Negli ultimi 15 anni[1] sono stati eseguiti cinque scavi in diversi siti della città: Piazza Dante, Piazza dei Cavalieri, Borgo Stretto, Piazza Sant’Omobono, Vicolo dei Facchini e Via Toselli. Appare interessante sottolineare la costante presenza di ceramica di importazione mediterranea in ogni sito indagato, indipendentemente dalla parte della città e dal livello sociale attestato. Allo stesso tempo risultano però evidenti delle differenze relative alle quantità e alle specifiche provenienze delle ceramiche.
I dati relativi allo scavo di Vicolo dei Facchini presentano un quadro molto più vario di quanto non facciano gli altri e con un’incidenza quantitativamente maggiore dei materiali importati dall’area bizantina e medio-orientale rispetto agli altri siti, dove appare evidente la predominanza del vasellame del Mediterraneo occidentale, costituito soprattutto da quello tunisino, siciliano, iberico e marocchino.
Vista la connotazione fortemente aristocratica delle residenze di Vicolo dei Facchini, come Palazzo Giuli appartenente all’ importante famiglia dei Dell’Agnello, e la frequentazione del posto da parte dei ceti artigianali, pare lecito chiedersi se tali differenze nella composizione delle provenienze del vasellame di importazione possano essere considerate un indicatore di status sociale, o se debbano semplicemente essere dovute al gusto individuale delle famiglie che vivevano nella zona.
Gli stessi dubbi possono essere estesi alle altre aree indagate, facendo un confronto allargato tra tutti i materiali ritrovati. Il sito che ha visto un numero maggiore di reperti di provenienza mediterranea è Piazza Dante, nel quale risultano però assenti produzioni medio-orientali, come accade anche in Borgo Stretto. I materiali di Piazza dei Cavalieri, Piazza Sant’Omobono e Via Toselli sono invece per il 60% di origine tunisina e siciliana e per la restante parte di origine iberica, bizantina e islamica in proporzioni variabili.
Alla luce di questi dati, come fenomeni generalizzati, è possibile osservare: la costante presenza di materiale di importazione mediterranea, l’ampio panorama delle provenienze e le possibili connotazioni sociali. Per quanto il numero dei siti considerati sia stato ampliato molto negli ultimi anni, il campione a disposizione è ancora troppo ridotto per giungere a considerazioni finali che non siano da considerarsi provvisorie e incerte. L’avanzamento delle ricerche stratigrafiche e archeometriche sarà nuove informazioni sui possibili significati della presenza di questi materiali nelle stratificazioni relative ai palazzi storici di Pisa.
[1] Una rassegna preliminare degli scavi è stata presentata al Convegno dell’AEICM2, tenuto a Ciudad Real, in Spagna, nel 2006, da Baldassari e Berti.