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PALAZZO FRANCHETTI

Il palazzo Franchetti, noto anche come palazzo dei Consoli del Mare o palazzo Fiumi e Fossi, vanta origini leggendarie e riserva, inoltre, sorprese di interesse storico e artistico. La prima peculiarità di questo edificio che si affaccia sul Lungarno Galilei è la sua posizione, infatti è arretrato rispetto al resto dei palazzi che si affacciano direttamente sul Lungarno. Il palazzo dal lato del lungarno offre un ampio e profondo giardino. È questa la particolarità che lega il palazzo a una leggenda con fondamento storico: si narra che sul terreno che accoglie il giardino sorgessero un tempo i palazzi di Conte Ugolino della Gherardesca e che dopo la sua condanna per tradimento fu ordinato dai pisani di radere al suolo tutti i suoi palazzi e di cospargere sale sul terreno, affinché non vi sorgesse più nessuno edificio. Il palazzo prima di divenire della famiglia Franchetti, ed assumere l’attuale veste ottocentesca, ha subito una serie di trasformazioni[1]. Il palazzo è il prodotto dell’aggregazione di due palazzi cinquecenteschi, prima case-torri appartenuti rispettivamente ai Lanfranchi[2] e ai del Torto[3]. Nei primi decenni del 1800 i Franchetti, negozianti ebrei residenti a Livorno, acquistarono una serie di beni immobiliari, con l’obiettivo di dimostrare le loro disponibilità economiche e il livello di ricchezza da loro raggiunto, non solo a Livorno, ma anche nella vicina Pisa[4]. Abram e Isach del fu Raimondo Franchetti, poiché volevano possedere uno dei più bei palazzi pisani, trovarono in questa una dimora, avente un duplice affaccio, uno sul lungarno e l’altro su via San Martino, quello che stavano cercando. Agli inizi del XIX secolo quando i Franchetti proposero di realizzare il loro progetto di riunificazione, la proprietà risultava frazionata tra i Galli proprietari dell’ex palazzo dei Consoli del Mare, molto noto per gli affreschi del Ghirlanda; i della Fanteria; la casa d’abitazione e il piaggione[5] di Sbrana, e infine il vicolo Mozzo, detto dei Consoli. I due fratelli Franchetti iniziarono il loro progetto nel 1833. Qualche tempo dopo i due fratelli Franchetti riuscirono a completare il loro progetto acquistando tutti i palazzi. Tutti questi edifici erano talmente diversi tra loro che la realizzazione di un complesso unitario non sarebbe stata cosa semplice. Per fare ciò, i Franchetti si avvalsero di uno dei più rinomati architetti pisani del tempo, Alessandro Gherardesca, che con un progetto organico riunificò i due palazzi con fronte su via San Martino, eliminò il piaggione, demolì la casa Sbrana e la limonaia, e creò un grande giardino arricchito con piante di diverso genere[6]. Nel 1888 Elisa, figlia di Abramo Franchetti, rinunciò a tutti i diritti sul palazzo in via San Martino e lo cedette a Vincenzo Ciampolini[7], ricco imprenditore fiorentino che affittò separatamente i diversi locali del grande palazzo. Nel 1910 l’imprenditore concluse la vendita dell’immobile con il giardino come beni liberi da ipoteca[8]. L’Ufficio Fiumi e Fossi si trasferì, dunque, nel 1889 nel palazzo Franchetti, e nel 1910 ne divenne proprietario ed ancora oggi ne usufruisce. 

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All’interno del palazzo sono conservati maestosi e affascinanti affreschi che risalgono ai secoli XVI e XVII, attribuiti ad A. Ghirlanda, S. Marucelli e B. Poccetti: al piano terra si trova la Sala delle ninfe con un’ampia volta affreschi plastici a soggetto mitologico, il cui disegno pare ancora una volta attribuito a Michelangelo. Passando dalle scale ricoperte da splendide decorazioni a grottesche, rare per il loro stile, si arriva al primo piano dove sorprende l’ancora più maestosa volta del Salone, con mirabili affreschi sul mito di Diana e Atteone e di Amore e Psiche, sulle fatiche di Ercole e altre divinità. La facciata severa e magniloquente su via S. Martino, attribuita ora a Michelangelo, ora a Bartolomeo Ammanati, ne identifica le origini tardo-cinquecentesche[9]. 

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[1] M. Giraldo, Palazzo Franchetti, una dimora sul lungarno pisano.

[2] G. Rossetti, Un palazzo, una città: il Palazzo Lanfranchi in Pisa, Pisa 1980.

[3] I del Torto, originari di Lari, erano dei pellicciai che avevano assunto straordinario rilievo nel XV secolo grazie ai profitti ricavati dalle attività mercantili. 

[4] M. Scarrozzi, "Itinerari dell’integrazione: una grande famiglia tra la fine del settecento e il primo novecento", in P. Pezzino, A. Tacchini, Leopoldo e Alice Franchetti e il loro tempo, Città di Castello 2002, pp. 271-320. 

[5] La zona dove sorgeva il piaggione era l’area legata alla tradizione e alla leggenda del conte Ugolino della Gherardesca.

[6] M. Giraldo, op.cit.

[7] Archivio storico Fiumi e Fossi di Pisa, atto Bellacchi del 15 gennaio 1892, registrato a Firenze il 2 febbraio n. 2769.

[8] Archivio storico Fiumi e Fossi di Pisa, atto compra-vendita Ufficio dei Fiumi e Fossi di Pisa e Ciampolini Vincenzo, rogato da Giuseppe Barsali notaio, il 16 novembre 1910 e registrato a Lari il 26 novembre detto al vol. 56, n. 186. 

[9] A. Panajia, I palazzi di Pisa, p. 172-172. 

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Scuola di Architettura

Corso di Laurea Magistrale in Pianificazione e Progettazione della Città e del Territorio

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