PALAZZO RONCIONI

Il nucleo di Palazzo Roncioni, precedentemente di proprietà di Gaspare Orazio Franchi, fu acquistato da Luigi Navarette, il quale, il 13 luglio 1630, lo vendette al Balì Cesare di Girolamo Roncioni[1] per 2275 scudi. La famiglia vi andò subito ad abitare, lasciando Via Santa Maria.
All’acquisto della casa sul Lungarno segue una serie di altri acquisti, come documenta l’Archivio Roncioni. Il 6 maggio 1632 viene comprata una seconda casa dai Bernardi per 184 scudi e altre casette vengono acquistate dalla comunità di Pisa e dalle monache di San Matteo in date diverse fino al 1643.
Nei decenni precedenti molte altre famiglie nobili avevano spostato la loro residenza in zone diverse della città. Dalla fine del Cinquecento, infatti, comparvero numerosi palazzi di rappresentanza, soprattutto sui Lungarni e lungo le grandi vie della città: Via Santa Maria e Via San Martino. Così Pisa, che al Montaigne[2], in occasione di un viaggio in Italia nel 1581, parve avesse “poco di nobile e di piacevole”, migliorò molto il suo aspetto. Si riutilizzarono le strutture verticali preesistenti e si crearono facciate, importanti sì ma sempre sobrie ed equilibrate, e la città acquistò un aspetto più ricco e curato.
Le famiglie più rappresentate nelle principali magistrature cittadine (dal 1509 al 1630) erano 60; di esse solo otto discendevano da casati riconosciuti come nobili già ai tempi della Repubblica di Pisa, fra le quali compare la famiglia Roncioni.
Negli anni successivi al 1630, dunque, le costruzioni situate sul Lungarno in cappella San Matteo, acquistate da Cesare Roncioni, dettero origine, grazie a lavori di ristrutturazione e migliorie, al Palazzo Roncioni come lo vediamo ancora oggi. Da un insieme di case-torri medievali nacque quindi un palazzo con una nuova facciata, un ampio e importante portale e con il balcone del piano nobile che diventò “l’immagine pubblica della preminenza cittadina” (M. Luzzati) della famiglia aristocratica. A casa Roncioni era annesso l’omonimo attracco sul fiume[3].
Dall’Archivio Roncioni si sa che “diventato un bel palazzo elegante”, nel 1769, fu scelto dal Granduca Leopoldo I come sua “temporanea dimora” mentre si completavano i lavori al Palazzo Granducale. Egli arrivò il 3 novembre in incognito al Palazzo Roncioni con il suo seguito da Firenze sull’Arno[4].
In quella circostanza il Balì Francesco Roncioni (1719-1779) fece aumentare il numero degli appartamenti della propria dimora, trovando il modo di collegarla con l’attiguo Palazzo Lanfranchi. I due edifici divennero comunicanti grazie alla costruzione di un cavalcavia sul vicoletto che li separava. Tale passaggio, largo alcuni metri, oggi non esiste più.
Tra la fine del XII secolo e i primi anni del successivo, Palazzo Roncioni fu testimone di altri mirabili eventi tutti sapientemente chiosati dal Balì Angiolo Roncioni, figlio di Francesco, uomo colto e raffinato, autentico mecenate e promotore, anche se alla maniera un po’ eccentrica tipica dei nobili della vita culturale della sua città.
Fra i vari episodi risalta quello che avvenne il 16 giugno del 1795, notte della luminara in onore di San Ranieri, patrono di Pisa. Quella sera Vittorio Alfieri in persona partecipò ad un ricevimento organizzato al palazzo e interpretò il suo Saul nel teatro fatto allestire dal Roncioni sui 150 metri quadrati del salone al piano nobile del palazzo. L’esecuzione dell’imponente lavoro era stata curata dal giovane architetto Alessandro Gherardesca. Le cronache di casa tramandano che al solo falegname, un certo Luigi Mariani, vennero pagate ben 1331 lire toscane quale corrispettivo per le 26 scene mobili installate insieme al sipario, al posto per l’orchestra e al palcoscenico con tanto di buca per il suggeritore. L’inaugurazione ufficiale era avvenuta nel gennaio del 1795, quando una compagnia di dilettanti mi se in scena proprio il Saul. In quell’occasione l’Alfieri aveva accampato alcuni pretesti per non accogliere l’invito del Roncioni che lo invitava a presenziare.
Una ventina di anni dopo, nel 1816, le stesse stanze fecero da cornice ad un altro episodio singolare. Per alcuni mesi fu infatti ospite dei Roncioni Madame De Stael con i figli. Durante tale soggiorno, in un salotto del palazzo, venne celebrato dal maire Ruschi, allora sindaco di Pisa, lo sposalizio tra Albertina De Stael, protestante e figlia della scrittrice, con il cattolico duca Vittorio De Broglie, divenuto poi un famoso uomo di stato francese.
A Palazzo Roncioni nacque nel 1781 la bellissima Isabella, figlia del Balì Angiolo e di donna Dorotea. Di lei si dice che fin da bambina fece sognare schiere di blasonati corteggiatori. Si dice fosse una bellezza fuori dal comune, della quale rimase colpito, fino ad innamorarsene, anche Ugo Foscolo (1778-1827). Da quella passione il poeta trasse l’ispirazione per alcune pagine delle “Ultime lettere di Jacopo Ortis”, opera data alla stampa nel 1802. Ma i genitori di Isabella non vollero mai sapere nulla di quella relazione e i sogni del Foscolo furono destinati a svanire nel nulla. Isabella venne infatti concessa in sposa al marchese fiorentino Leopoldo Bartolomei e il matrimonio venne celebrato il 18 agosto 1801.
Nell’Archivio Roncioni si trova infine notizia di restauri al Palazzo eseguiti nel 1866: “ricostruzione delle due cantonate da rifarsi […] di bozze simili a quelle esistenti di pietra macigna Bigia delle cave di Fiesole”. Per tali lavori vennero fatte prove ed esami al Gabinetto di Chimica per valutare la resistenza del pietrame proposto.
[1] Di lui si sa che, nato nel 1601, sposò prima Ippolita Bocca e poi Anna Maria da Scorno. Quest’ultima apparteneva ad una nobile famiglia con palazzo sul Lungarno Galileo Galilei.
[2] Michel Eyquem de Montaigne è stato un filosofo, scrittore e politico francese noto anche come aforista.
[3] Va detto che lo scalo è oggi uno dei pochi passaggi dentro la città, per raggiungere il greto del fiume dai Lungarni. Ben più numerosi erano tali accessi in passato, prima che fossero costruiti i lineari muri di sponda che adesso vediamo. Tali opere iniziarono, infatti, nel 1870. Prima di allora il lungofiume era tutto un susseguirsi di attracchi, scali e sostegni di varia forma e dimensione. La città non aveva fognature e gli scarichi delle abitazioni finivano direttamente in Arno. In caso di piena un caterattaio veniva pagato a cottimo per chiudere i buchi degli scarichi ed evitare che l’acqua del fiume rigurgitasse dentro le case.
[4] Lucchetti: Bibl. Sem. Arciv.