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GABRIELE D'ANNUNZIO

Un altro illustre personaggio che si intreccia con la storia di Pisa e i suoi palazzi è Gabriele D'Annunzio. Tra la fine dell'ottocento e i primi anni del novecento, il Vate intraprese una relazione con l'attrice Eleonora Duse e si dovette trasferire a Firenze. Girando in lungo e in largo per la Toscana, D'Annunzio non si fece mancare il soggiorno pisano e fu proprio l'atmosfera del suo litorale ad ispirarlo per la composizione di molte delle sue liriche conosciute,  contenute nell'Alcyone.

Alcyone, terzo terzo libro delle Laudi del cielo, del mare, della terra e degli eroi, nacque proprio dall'esperienza della vacanza con la Duse in Toscana e raccolse molte liriche composte tra il 1899 e il 1903.

Una di queste, I camelli , nacque dall'interesse che D'Annunzio provò per una storia tutta pisana, vecchia ormai di tre secoli:il mistero del motto 'Alla Giornata' posto sulla facciata di Palazzo Lanfreducci.

La celebre iscrizione, risalente alla fine del cinquecento, divenne talmente famosa e misteriosa da far rinominare l'edificio come 'Palazzo Alla Giornata'.

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Protagonista di questa storia fu il cavaliere di Malta,  Francesco Lanfreducci, esponente dell'aristocratica famiglia pisana dei Lanfreducci, che nel 1565 fu uno dei difensori del forte S.Elmo durante l'assedio di Malta, e che in quella occasione fu fatto prigioniero dai corsari barbareschi e condotto schiavo ad Algeri. Francesco riacquistò la libertà nel 1571 grazie ad un salatissimo riscatto, e tornato a Pisa decise di intraprendere i lavori per il restauro del palazzo di famiglia, situato in Lungarno Pacinotti.

La leggenda più accreditata vuole che l'iscrizione marmorea sopra il portone sia compimento di un voto espresso da Francesco durante gli anni di prigionia. Oltre alla celebre frase, venne posta una catena con tre anelli, a rafforzare ancor di più l'enigma, mai volutamente rivelato dai componenti della famiglia.

Come anticipato, Gabriele D'Annunzio si impressionò molto di fronte ai racconti di questa storia tanto da farne l'argomento di una sua lirica.

Nella sua versione, il poeta scristianizza la storia, trasformando il protagonista da cavaliere della croce nel "buon mercatante pisano" che fatto schiavo dai barbareschi, è costretto a girare la macine del mulino;  poi tornò per riscatto, /a Pisa, alle sue case./E fecesi un palagio/novo a specchio nell'Arno./ Memore del malvagio/servire, ALLA GIORNATA/scrisse nell'architrave./E l'Arno era soave."[1]

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Per il poeta l'iscrizione non si riferisce al compimento di un voto. Si tratterebbe di un amaro memento, che richiama la condizione disumana dello schiavo, espropriato della propria libertà e di conseguenza non più in grado di poter far progetti. Se si è costretti al "malvagio servire", dice D'Annunzio, tutta l'attenzione è concentrata verso il presente, al vivere alla giornata.[2]

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[1] G.D'Annunzio, I camelli, 1902, Alcyone

[2] A.Addobbati, Alla Giornata, l'impresa di Fra Francesco Lanfreducci il vecchio pp 13-23, in Il Palazzo Alla Giornata, storia e memorie della sede del Rettorato dell'Università di Pisa, 2005, Lucia Tongiorgi Tomasi (a cura di)

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