ARCHITETTURA CIVILE: IL VOLTO DEI LUNGARNI
A partire dagli anni Settanta del secolo scorso sono stati eseguiti diversi restauri, ad opera di enti sia pubblici che privati, che hanno portato al ritrovamento di una grande quantità di decorazioni murali.
Tali ritrovamenti, risalenti all’età medievale, fanno pensare che l’uso di decorare prospetti esterni e pareti interne degli edifici possa essere stato molto frequente a Pisa, almeno a partire dal secolo XI, poiché restano più o meno ben conservate parti di decorazioni di edifici sia privati che religiosi. Queste sono scampate all’ ossessione per il decorticamento esterno e interno dell’edilizia antica che, negli ultimi due secoli, ha distrutto gran parte delle permanenze che erano riuscite a scampare agli inevitabili, e storicamente più accettabili, fenomeni di naturale degrado. Questa pratica ha portato alla preferenza del gusto della muratura rustica, considerata come situazione originaria e attestante il prestigio dell’edificio[1]. Ancora oggi, infatti, il linguaggio architettonico toscano spesso si identifica erroneamente con edifici in pietra o in laterizi a vista, nonostante la documentazione iconografica medievale e moderna attestino come l’assetto originario fosse prevalentemente caratterizzato dalla presenza di colorati e decorati intonaci, soprattutto per motivi di conservazione delle murature, dal momento che la questione riguarda soprattutto ciò su cui si è maggiormente soffermata la nostra attenzione nell’ elaborazione di questo lavoro: i prospetti sui Lungarni, più soggetti al deterioramento a causa dell’umidità.
I Lungarni divennero il vero cuore economico e commerciale della città a partire dall' XI secolo, quando il baricentro urbano di Pisa si estese dalla riva settentrionale dell’Arno a tutto il lungofiume.
L’Arno, fatte le dovute proporzioni, aveva la rilevanza simbolica e materiale che per i Veneziani aveva il Canal Grande. Con i suoi numerosissimi approdi era un asse commerciale funzionale alla distribuzione di merci e prodotti nell’ entroterra toscano. Possedere quindi “casa e bottega” sul lungofiume era, fino al tardo medioevo, un’ambizione diffusa e una scelta soprattutto strategica.[2]
In questo periodo il Lungarno fu il teatro di ascesa, splendore e caduta di numerose famiglie, tra cui i Gambacorti, che edificarono il loro magnifico palazzo intorno al 1370.
La scelta del luogo in cui far sorgere il Palazzo Gambacorti fu dettata dalla rilevante posizione che questo avrebbe assunto nel contesto, situandosi in maniera dominante a capo di Ponte di Mezzo.
La facciata principale del palazzo era, ed è tuttora, un notevole esempio di gotico a fasce bianche e scure con un doppio ordine di eleganti bifore. Questo prospetto è uno dei rari esempi di residenza medievale prospiciente i lungarni che ha mantenuto la sua integrità e non ha subito in seguito pesanti modifiche secondo i canoni rinascimentali fiorentini. Il motivo della conservazione di tale aspetto sta probabilmente nelle scelte politiche medicee che individuavano nell’imponente palazzo l’eredità dell’antico potere comunale pisano.
Tornando alla storia dei Lungarni, persino la fine della Repubblica non ne diminuì l’importanza e la forza attrattiva: si intuisce che, superata la crisi della prima metà del Quattrocento (all’indomani della conquista fiorentina, quando la città ebbe un crollo demografico), le sponde del fiume divennero ancora una volta il luogo privilegiato scelto dai ceti dirigenti della città per costruire le proprie dimore e risiedere. Avere una casa sull’Arno, nel Cinquecento, non era più solo una scelta strategica, voleva dire sfoggiare ricchezza e importanza. Era data, infatti, un’enorme cura all’apparenza della dimora, che diveniva lo specchio del ruolo che la famiglia proprietaria rivestiva o ambiva, nel contesto sociale di Pisa. Ed è in questo periodo che i Lungarni mutano profondamente e si riempiono più che mai di splendide facciate che finiranno per essere, insieme alla famosa Torre, il simbolo della città.
Uno dei palazzi costruiti in questo periodo è Palazzo Lanfranchi, sul Lungarno Galilei. In occasione del restauro del palazzo Lanfranchi, effettuato tra il 1976 e il 1980, fu condotta un’accurata analisi stratigrafica che ha messo in risalto le fasi costruttive dell’edificio dal Medioevo fino ai giorni nostri. Il palinsesto della struttura muraria ha mostrato dal vivo l’impaginazione della rinascimentale facciata realizzata alla fine del Cinquecento ed è stato possibile risalire alla disposizione planimetrica degli anni 1630-40[3]. Sappiamo infatti che gli ambienti con affaccio sul Lungarno avevano una funzione di rappresentanza, mentre le stanze con vista sul giardino e quelle situate nel sottotetto erano prevalentemente destinate a locali di servizio. Per i motivi spiegati in precedenza, la facciata, originariamente intonacata, oggi appare in mattoni a vista in seguito al restauro del 1980 ed è da apprezzare per le sue forme classicistiche sottolineate dai raffinati elementi scultorei eseguiti in marmo bianco delle cave di San Giuliano, secondo affermata consuetudine dell’uso di questo materiale negli edifici di prestigio a partire dalla fine del XVI secolo.
Nel corso dei secoli successivi il Lungarno continua a non perdere il suo ruolo all’interno della città. Anche nelle descrizioni settecentesche, la vita di Pisa sembra raccogliersi e concentrarsi intorno al lungofiume, che si ritrova al centro dei primi interventi lorenesi volti a rendere la città, scelta da Pietro Leopoldo come capitale d'inverno, degna della nuova funzione. La dimora temporanea del Granduca, in attesa che si completassero i lavori a Palazzo Reale, fu Palazzo Roncioni, che, come riportato nell’archivio Roncioni, è “diventato un bel palazzo elegante” nel 1769.
Per accogliere cittadini e forestieri in un contesto più civile e ordinato, smantellate le fortificazioni, vennero riaperti i ponti, che fin dalla conquista fiorentina erano rimasti militarizzati, e si procedette ad abbellire ancora i prospetti delle dimore lungo il fiume che le famiglie aristocratiche continuavano a ricercare e acquistare.
Nell’Ottocento, infatti, i Toscanelli, pur essendo già proprietari di un ingente patrimonio immobiliare in Via San Francesco, acquistarono sul Lungarno Mediceo, proprio accanto a Palazzo Roncioni, un grande palazzo, fino ad allora di proprietà dei Lanfranchi, e nel 1827 incaricarono l’architetto Alessandro Gherardesca di ricostruire la facciata in un sontuoso stile neorinascimentale.
Dei lavori eseguiti al palazzo ne dà testimonianza in una memoria del 1929, il bisnipote di Antonio Toscanelli, che così la descrive:
“della primitiva costruzione rimangono i così detti sotterranei, che sono invece l’antico piano terreno, che dava sul greto dell’Arno e rimase interrato in seguito ai lavori del lungarno ordinati da Cosimo I dei Medici. Nel XVI secolo si erano tolte le finestre bifore e furono sostituite con finestre dello stile dell’epoca, in pietra di golfolina, che la tradizione popolare attribuì a Michelangelo”[4].
Il Toscanelli riporta, inoltre, che:
“il Gherardesca si propose di rifare le finestre, il balcone e il cornicione in marmo, conservando l’antico disegno del Cinquecento. Ma un tale lodevole proposito in quell’epoca deve aver avuto un risultato relativo perché i pioli alle gradinate del lungarno, il terrazzino, le nicchie sulle finestre del secondo piano ed altre parti della facciata denotano il gusto dell’epoca (ossia del Gherardesca) piuttosto che quello di Michelangelo o di altri artisti del secolo XVI[5]”.
Lo stile, dunque, poteva anche cambiare, ma la volontà della famiglia che acquistava un palazzo sul Lungarno era sempre la stessa.
Un’ultima curiosità sulla facciata del palazzo riguarda il rivestimento lapideo della facciata: si può ritenere che quello presente oggi non sia quello risalente all’Ottocento ma sia originario dei lavori eseguiti intorno al 1580. Nella memoria già citata è riportato che:
“il Gherardesca osservando che i freschi marmi bianchissimi da lui impiegati per le finestre e le cornici presentavano un contrasto stridente col fondo di verrucano vecchissimo, propose di sabiare tutta la facciata per rinfrescarla e ringiovanirla”.
Il Toscanelli si oppose a quest’ ulteriore spesa optando per una tinta che “ridesse il primitivo color bigiastro”, ma in realtà per un errore della formula chimica la “pittura nel prosciugare mise fuori una intensa intonazione gialla che però [era] felicissima ed intona[va] perfettamente ai marmi[6]”. Tale scialbatura fu probabilmente rimossa durante i lavori effettuati intorno agli anni Ottanta del secolo scorso che riportarono alla luce l’antico candore dell’originaria pietra bianca di uliveto.
Riallargando, per concludere, lo sguardo nuovamente sui Lungarni nella loro interezza, nel 1827 Fontani scrive:
“Formando quivi l’Arno nel suo correre al mare una regolar curva, che viene seguitata dall’ordine delle fabbriche, questa invece di togliere alcuna cosa al decoro, ed alla bellezza , sembra anzi aggiungerle pregio e decoro , e se negli andati tempi l’avvedutezza dei più comodi cittadini fosse stata più sollecita in adornarlo con edifizj di giusta simmetrìa , ed architettati con gusto , non vi sarebbe in Italia forse Città che potesse vantare una contrada sì deliziosa e sì vaga, ed una veduta sì dilettevole ed attraente. Sono certamente degni di commendazione perciò quegli individui fra loro che già da qualche anno si sono dati la lodevole premura di concorrere all’abbellimento di questo luogo , ed è cosa assai desiderabile che sul loro esempio altri imprendano a seguitargli, sicuri di meritarsi un nome presso la posterità, che ha il diritto di esigere dagli Antenati memorie degne di loro, e decorose alla Patria.[7]”
Ennesima dimostrazione di quanta importanza, nell’Ottocento come nel Cinquecento, venisse data a chi quel posto sull’Arno riusciva ad ottenerlo.
E se col passare del tempo la gara tra le famiglie più importanti per trovare la posizione perfetta per il proprio palazzo ha lasciato spazio alle numerose funzioni pubbliche che ormai gli edifici hanno, i colori, l’armonia e la bellezza di questo posto sono rimasti intatti nel tempo e ancora oggi i Lungarni rappresentano il cuore di Pisa.
[1] M. Burresi, Le dimore di Pisa, l’arte di abitare di una antica Repubblica Marinara dal medioevo all’Unità d’Italia, Alinea, 2010, pp. 209.
[2] Per altre informazione riguardo la storia dei Lungarni si rimanda al capitolo “La storia di Pisa” di questo stesso testo.
[3] Si rimanda per le informazioni più strettamente architettoniche a Carmassi, 1980, tav. XXXIV.
[4] ASP, Patrimonio Toscanelli, 1 gennaio 1929.
[5] ASP, Patrimonio Toscanelli.
[6] ASP, Patrimonio Toscanelli.
[7] Riportato dal sito http://ilpopolopisano.it/pisa-lungarno-da-territoridel900 visitato in data 25/05/17.